Percorso Prati magri
Inquadramento territoriale
Legenda:
ROSSO: Percorso Prati Magri
ARANCIO: Percorso Erbe officinali
VERDE: Percorso Stazione
VIOLA: Percorso Sorgenti petrificanti
Cartina del percorso
Audioguida
pratimagri.zip (3,3MB): pacchetto completo con un file MP3 per ogni punto del percorso.
Testo completo
PUNTO 1
Questo percorso, che ci condurrà alla scoperta dell’interessante ambiente dei prati magri, parte da Monte di Rovagnate a circa 380 metri s.l.m. Il tracciato, della lunghezza di 4 chilometri e mezzo, ci porterà dai cipressi, a circa 400 metri s.l.m. a Pianello a 440 metri s.l.m. Da qui scenderemo alla cascina Costa, a circa 370 metri s.l.m. e quindi alle cascine Galbusera Nera e Bianca a circa 350 metri s.l.m. per poi tornare al punto di partenza. Il tempo di percorrenza è di un’ora e mezzo circa. E’ consigliato l’uso di scarponcini da trekking.
Dal parcheggio procediamo sulla strada verso la chiesa, punto di riferimento per le campane che suonano ogni 15 minuti; arrivati allo stop andiamo diritto. Siamo circondati dalle viti coltivate sui terrazzamenti del pendio. Dopo pochi minuti di cammino giriamo a destra, imboccando la strada sterrata che ci porta ai piedi della collina sulla cui cima svetta un gruppetto di cipressi. Imbocchiamo il sentierino, tra i due cipressi, che sale sulla collina; sotto i nostri piedi affiorano rocce stratificate sedimentarie: sono marne rosse e verdastre e calcari marnosi biancastri che prendono il nome di Scaglia Lombarda. Si tratta di rocce risalenti al periodo tra il Giurassico ed il Cretaceo Superiore, tra 150 e 70 milioni di anni fa, derivanti dalla litificazione di sabbie e fanghi argilloso-calcarei, trasportati ed accumulati in ambiente marino profondo in seguito a correnti di torbidità.
Dopo aver superato un passaggio un po’ ripido e scivoloso, arriviamo ai cipressi, a circa 400 metri s.l.m., e al punto 2.
PUNTO 2
Da questo luogo, in cui sono presenti sei cipressi secolari, si può ammirare un panorama affascinante. Volgendo lo sguardo verso sud, spicca il versante esposto a nord della collina di Montevecchia, ricoperta da fitti boschi che offrono spettacolari colori a seconda delle stagioni. La collina sulla quale ci troviamo presenta prati adagiati sui dolci pendii modellati dall’uomo ed un tempo coltivati a vite. In mezzo a questi rilievi si fa spazio la valle del Curone, con l’omonimo torrente che scorre in direzione sud-est. Guardando in questa direzione il nostro sguardo, nelle giornate limpide, può arrivare sino a Milano. Nell’ambiente naturale che ci circonda, sono inserite alcune cascine, per lo più esposte a sud per sfruttare i benefici offerti dal sole. Alla sinistra orografica del torrente Curone, sul pendio della collina sulla quale ci troviamo, scorgiamo la cascina Galbusera Bianca e, più spostate ad ovest, le cascine Galbusera Nera, Costa e Scarpada. Esposte a nord, alla destra orografica del torrente, sono presenti le cascine Ca’ del Soldato, che ha funzione di Centro Parco e Valfredda, il cui nome sottolinea le caratteristiche microclimatiche del luogo.
Proseguiamo il nostro cammino, verso ovest, sul sentiero fiancheggiato, sulla destra, da una delle tipiche coltivazioni del luogo: il rosmarino. A destra lo sguardo corre verso la chiesa di Monte di Rovagnate, mentre a sinistra la vegetazione cespugliosa impedisce la vista della valle del Curone. Poco più avanti arriviamo al punto 3.
PUNTO 3
Sulla sinistra c’è una roverella con rami espansi simili a lunghe braccia; questo albero è una quercia, ad accrescimento lento, che occupa le pendici più assolate e i suoli più superficiali. La chioma è espansa, piramidale, di color verde-grigiastro; il tronco è eretto con corteccia grigio scura, rotta in tante piccole squame irregolari. I rami giovani sono coperti da un denso feltro di peli biancastri. Le foglie sono alterne, con margine diviso in 5-7 paia di lobi. Il picciolo è pubescente, come la pagina inferiore delle foglie più giovani. I fiori maschili sono disposti in amenti penduli, quelli femminili sono sessili. La ghianda è allungata, protetta fino quasi a metà da una cupola a squame. La ghianda di roverella è stata usata, tradizionalmente, per l’alimentazione dei suini.
Continuiamo il cammino sul sentiero nel quale affiorano rocce sedimentarie stratificate di color rosso, le marne. Lungo il nostro percorso troviamo la rosa canina, arbusto con fusti arcuati e dotati di aculei molto uncinati. La foglia è caratterizzata da due o tre paia di foglioline dentate e i fiori hanno grandi petali rosa. Considerata fin dall’antichità un’importante pianta medicinale, la rosa canina deve il suo nome all’antica Grecia, quando si riteneva che le sue radici potessero curare la rabbia provocata dai morsi dei cani. Ancora oggi i suoi rossi frutti, ricchi di vitamina C, sono utilizzati per la preparazione di sciroppi, marmellate e, in infusione, sono usati come bevande rinfrescanti e lassative. I fiori essiccati forniscono la base dell’acqua di rose.
Proseguiamo sul sentiero a destra del cipresso; saliamo, oltrepassando una casa sulla destra, fino ad arrivare ad un altro cipresso sulla sinistra e al punto 4.
PUNTO 4
Davanti a noi si adagiano, sui terrazzi modellati dall’uomo, i prati magri che sono ambienti seminaturali di elevato valore naturalistico. Presentano, infatti, un’elevata ricchezza di specie vegetali termofile, cioè che richiedono temperature miti, e che talvolta esprimono condizioni di aridità, legate ad un substrato di tipo calcareo. Fra le molte specie che compaiono in questi ambienti spiccano diverse orchidee. Alla ricchezza floristica, cioè all’elevato numero di specie vegetali presenti, corrisponde un rilevante significato faunistico, soprattutto per quanto riguarda l’Entomofauna cioè gli Insetti. Particolarmente attrattive sono alcune Farfalle che qui trovano il loro habitat ottimale. La conservazione di questi ambienti è strettamente dipendente dalle modalità di gestione. In Lombardia i prati magri sono presenti solo sui rilievi calcarei nelle esposizioni più favorevoli, e, quindi, le presenze all’interno del Parco sono fra le più meridionali ed a bassa quota. Questi ambienti sono diffusi anche sui primi rilievi prealpini quali Grigne, Resegone, Corni di Canzo e Monte Barro. A quote più alte, con differente partecipazione di specie, queste forme di vegetazione costituiscono le “praterie primarie” che sono stabili e non tendono a trasformarsi evolvendosi verso il bosco. Alle quote inferiori questi ambienti occupano invece gli spazi che l’uomo ha strappato in un lontano passato al bosco termofilo, dominato dalla roverella, per consentire la coltivazione dei terreni o la pratica del pascolo. La cessazione dell’attività agricola, riavvia la trasformazione verso il bosco, con la celere scomparsa di molte specie di notevole importanza naturalistica, la cui presenza è proprio legata alla periodica pratica dello sfalcio. Il bosco ha così avviato la riconquista dei terreni abbandonati, con l’ingresso prima delle specie arbustive come il sanguinello, il prugnolo spinoso e il rovo e, quindi, degli alberi quali il carpino nero, l’orniello, la roverella e il ciliegio.
Nei prati ancora presenti e sulle scarpate tra i vigneti, le specie vegetali più diffuse ed importanti sono alcune graminacee tra cui il forasacco, la trebbia maggiore e il paleo comune. Ma le specie che più richiamano l’attenzione sono le orchidee, dai colori delicati o sgargianti, come il giglio caprino, il giglione e la manina rosea. I prati magri sono, inoltre, l’habitat privilegiato e tavolta esclusivo per alcune specie di insetti, quali il Macaone e la Mantide religiosa. Queste zone di transizione tra ambienti diversi, quali prati residui, incolti, spazi arbustivi e bosco, hanno creato condizioni ideali per alcune specie di uccelli considerate rare e a rischio di scomparsa nel nostro territorio, come l’Averla piccola, la Sterpazzola, lo Zigolo nero e l’Occhiocotto.
Da questo punto, sotto di noi, si scorge la cascina Galbusera Nera con i terrazzamenti coltivati a vite e, più avanti, le cascine Costa e Scarpata, mentre alle nostre spalle possiamo vedere il S. Genesio e, in lontananza, la Val Cava.
Dopo 10 minuti di cammino, lambendo coltivazioni di rosmarino e terrazzamenti con viti alla nostra sinistra, giungiamo ad un bivio ad al punto 5.
PUNTO 5
Giunti al bivio, notiamo l’acero campestre; questo albero ha chioma arrotondata, di colore verde intenso; le estremità dei rami tendono prima verso il basso e poi verso l’alto. Le foglie sono opposte e piccole, con tre lobi principali dalle estremità arrotondate e due lobi basali più piccoli. In estate sono verde opaco sopra, lanuginose sotto. In autunno la foglia diventa giallo-ambra. Il tronco è eretto con corteccia grigia o marrone, fessurata in placche. I fiori sono riuniti in infiorescenze erette, chiamate corimbi, di colore verdastro-giallo. I frutti hanno ali disposte in linea quasi retta, spesso sfumate di rosa. L’acero campestre era usato tradizionalmente come tutore vivo della vite; il legno è usato per il fondo, le fasce laterali e manici dei violini.
Prendiamo il sentiero che va a sinistra, costeggiando le viti, sulla sinistra, e il bosco di roverella sulla destra, fino ad arrivare al punto 6, dove si può ammirare un incantevole paesaggio.
PUNTO 6
Facendo spaziare il nostro sguardo, possiamo ammirare, verso sud, il Santuario Beata Vergine del Carmelo sul crinale della collina di Montevecchia che corre verso nord, la valle del Curone, le cascine disseminate qua e là e i terrazzamenti coltivati a vite. La tipica struttura a terrazzamenti, chiamati ronchi, permette di alternare, in piena armonia, la coltura della vite e la conservazione delle specie erbacee-arbustive tipiche di questo habitat. Molto comune è l’utilizzo dei muretti a secco, strutture realizzate con pietrame reperito in loco, che svolgono la funzione di sostegno del versante ripido ed instabile. L’uso del pietrame a secco rende superflue eventuali opere di drenaggio. Questi muretti rivestono, inoltre, un importante ruolo ecologico, costituendo un valido riparo per la fauna.
Scorgiamo, verso sud-est, i sei cipressi, dai quali siamo giunti, all’apice del pendio terrazzato e, più sotto, altri cipressi sopra la cascina Galbusera Bianca.
Proseguiamo sul sentiero, che entra nel bosco di roverella, carpino nero, castagno e acero campestre.
Lungo il nostro cammino, incontriamo, inoltre, alcuni arbusti tipici di questo ambiente quali il sanguinello, il prugnolo spinoso e il biancospino.
Il sanguinello è un arbusto che, nella stagione autunnale, spicca per il colore rosso delle foglie e dei germogli e il nero delle drupe. Le foglie sono acuminate ed opposte, tomentose su entrambe le pagine e con nervature incurvate verso l’apice. I fiori, che sbocciano in giugno, sono bianco-verdastri; il loro sgradevole odore attrae gli insetti. Le drupe, rotonde, nere ed amare, crescono in ombrello e maturano in agosto o settembre. In passato il legno di quest’arbusto, duro e bianco, veniva usato come carbonella o per costruire ingranaggi per mulini, rocchetti e raggi per ruote. Oggi i rametti si usano come tutori della vite e negli orti e per la fabbricazione di cesti. Le drupe, amare e non commestibili, venivano un tempo utilizzate per estrarne olio da lampade, mentre oggi vengono sfruttate le loro qualità tintorie.
Il prugnolo spinoso cresce ai margini delle zone boschive; forma macchie spinose impenetrabili che offrono protezione ad altre piante che crescono sotto e agli uccelli che costruiscono i nidi tra i rami spinosi. Questo arbusto ha foglie piccole ed alterne, opache sulla pagina superiore e pubescenti su quella inferiore. I fiori bianchi sbocciano sui rametti spinosi all’inizio della primavera, prima che compaiano le foglie. Il frutto è rotondo e blu-nerastro; viene usato per marmellate e liquori. Le foglie, essiccate su una piastra e leggermente torrefatte, possono servire come infuso, al posto del tè.
Il biancospino selvatico è un alberello o arbusto con foglie alterne, con lobi profondamente divisi e dentellatura tutt’intorno. La pagina superiore è di colore verde intenso mentre quella inferiore è più chiara. Il tronco è sinuoso e scanalato con rami scuri, caratterizzati da spine non molto abbondanti; la corteccia è di colore arancio-brunastro con piccole squame. I fiori sono riuniti in infiorescenze bianche ed odorose e i frutti sono bacche rosse rotonde, chiamate “pomi”. Fiori, frutti e corteccia hanno proprietà sedative e cardiotoniche; i fiori in bocciolo possono essere conservati sott’olio come capperi; i frutti hanno virtù astringenti e inoltre forniscono cibo invernale agli uccelli del bosco, come tordi e cesene. Il biancospino è noto fin dai tempi dei Greci, i quali si servivano dei rami fioriti per adornare gli altari durante le cerimonie nuziali.
Continuiamo a camminare nel bosco; dopo pochi minuti superiamo un breve tratto in salita, abbastanza scivoloso. Sulla sinistra si estendono i terrazzamenti con la vite e si vedono le cascine Costa e Scarpata. Dopo un tratto in discesa, arriviamo a Pianello, a 440 metri s.l.m., e al punto 7.
PUNTO 7
Da questo punto ritroviamo lo splendore dei luoghi fin qui ammirati, scoperti da un’angolatura più ampia.
Alle nostre spalle, dalla bacheca del percorso geologico, la vista si apre sulle località Bernaga superiore con il monastero e Bernaga inferiore con il nucleo rurale ai cui piedi si trova una piana che anticamente era occupata da un lago. Durante il Quaternario, tra 10.000 e 8.000 anni fa, i ghiacciai avanzarono fino alla località Bernaga. Nella fase di ritiro, il ghiacciaio depositò del materiale, dando origine ad una morena laterale. Questo cordone morenico creò uno sbarramento che impedì all’acqua di fusione del ghiacciaio relitto di tracimare nella Valle dei Rovagnate, formando un piccolo lago che, secondo la leggenda, fu fatto bonificare, nel periodo longobardo, dalla regina Teodolinda per incentivare l’insediamento di questa zona.
Il monastero presente a Bernaga superiore è un importante testimonianza risalente al primo diffondersi del cristianesimo. E’ sicuro che non solo l’antico monastero ma anche il villaggio siano stati costruiti su parte dell’antico insediamento romano, utilizzando gli stessi materiali rinvenuti sul posto. Attualmente il monastero ospita le monache di clausura.
Da Pianello il nostro sentiero piega verso sud, cambiando direzione. Prendiamo la strada a sinistra, fiancheggiata dai terrazzamenti con viti. Dopo pochi minuti di cammino la strada, ora ciottolata, entra nel bosco di roverella, carpino nero e orniello. La si percorre per una decina di minuti, superando un’abitazione gialla e una cascina, fino ad arrivare alle cascine Scarpada e Costa, a circa 370 metri s.l.m. e al punto 8.
PUNTO 8
La cascina Costa presenta uno schema tipologico semplice, con corpo di fabbrica lineare a due piani, disposto lungo il versante. A fianco sono presenti due fabbricati un tempo destinati a stalla e fienile.
Dalla cascina Scarpada proseguiamo dritto per pochi metri e prendiamo la prima strada che svolta a sinistra, in direzione nord, entrando nel bosco di robinia, castagno e rovere. Seguiamo la strada che piega a destra, in direzione est, e quindi proseguiamo diritto sul sentiero argilloso che ci porta alla cascina Galbusera Nera, a circa 350 metri s.l.m., e al punto 9.
PUNTO 9
La denominazione “gallicus albus agger”, da cui deriva il nome Galbusera, ricorda la presenza in quest’area di antichissimi insediamenti di origine gallica. I due insediamenti rurali, Galbusera Nera e Bianca, collocati a mezza costa sul pendio, furono collegati fra loro nell’Ottocento. In quel periodo la coltura preponderante era la vite: il terreno porta segni evidenti del profondo e antico intervento trasformatore dell’uomo nel completo terrazzamento dei pendii.
La cascina Galbusera Nera, più a nord nella valle del Curone, è costituita da due edifici orientati verso est-ovest, su due piani che si sviluppano in modo semplice e lineare.
Proseguiamo sulla strada sterrata, circondata da terrazzamenti coltivati a vite, che in dieci minuti di cammino ci conduce alla cascina Galbusera Bianca, a circa 350 metri s.l.m., e al punto 10.
PUNTO 10
Galbusera Bianca, più a Sud nella valle del Curone, è costituita da una struttura complessa di circa nove edifici, con un nucleo principale che si sviluppa intorno ad una corte. Ha caratteri di nucleo insediativo compatto e di piccole dimensioni più che di una struttura agricola; ciò è dimostrato dalla presenza di una piccola chiesa caratterizzata da un’unica navata, dalla facciata con una finestra semi-circolare e da un frontone triangolare.
Superato il nucleo rurale imbocchiamo la strada in salita sulla sinistra; alzando lo sguardo ritroviamo i sei cipressi che si stagliano dalla collina. Seguiamo la strada che piega verso destra e che in pochi minuti ci riporta alla base del sentierino che sale ai cipressi. Da qui scendiamo sulla strada asfaltata e proseguiamo verso sinistra fino a giungere al parcheggio di Monte di Rovagnate, punto di arrivo del nostro percorso.
Loc. Butto, 1 - 23874 Montevecchia (LC) — C.F. 94003030130, P.I. 02236220139
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